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■ Voir son épouse pleurer
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- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2009-08-26 | [Ce texte devrait être lu en italiano] | Inscrit à la bibliotèque par Yigru Zeltil
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ma si affilano i rumori come pugnali l’aria si dissolve sulle mani edera il latrato ed ecco i fruttivendoli alzano le saracinesche del sonno i tram le lattaie gli autobus accordano come un’orchestra i loro strumenti luccicano le voci come mele cotogne nelle vetrine all’ora di colazione i mobili ritrovano la loro esistenza abbandonata ieri sera dagli angoli delle cantine dai magazzini torna furtiva verso di noi l’esistenza abbandonata ieri sera le coperte le voci squamano come i malati di scarlattina e tu cerchi te stesso come un vicino che ti ha dormito accanto le dita sanno il tuo contorno ti memorizzano ti seguono come una carta geografica lente le linee si riconoscono s’intrecciano come una coppa al loro posto le cosce le viscere il volto si stacca come una parete le labbra le labbra col sorriso delle scarpe e le giunture d’ovatta lentamente ti tiri fuori da te stesso come da un pozzo il fango dei giorni delle ombre ti riconosci ti stringi la mano dopo questa navigazione nella notte si snodano come una ferrovia gli sguardi le voci vecchie come francobolli su una lettera non spedita sei uscito un altro lo stesso dal tunnel dell’immobilità dell’assenza ti accarezzi come un’arancia la carne le parole quanti misteri ti sorridi allo specchio ecco i fruttivendoli gridano le loro primizie la luce mette tintura di iodio sulle ferite dei manifesti dedichi un inno al sapone CADUM la tua essenza non intacca i tessuti del corpo la schiuma scivola sulla pelle come una pelle rabbrividisce come fogliame la faccia nell’acqua fresca come una servetta di 17 anni al piano di sopra il rubinetto si apre come una palpebra ti chini di nuovo su te stesso come sul piatto del cielo colorato giri intorno a te come a una casa di cui hai dimenticato il numero suoni gridi chiami il proprietario chiedi se tu abiti in te panico panico la disperazione lancia segnali e il diramarsi della paura sulle caviglie cerchi il ricordo di te stesso e le spalle come sandali DOVE SONO qual è la longitudine del tuo cuore stephan roll porta il numero 35 nel cuore cerchi di impigliarti in una rete di residui notturni LO STESSO UN ALTRO UN ALTRO LO STESSO la mattina struscia i suoi seni sodi contro la finestra le tende si avvicinano si allontanano come due eserciti presto verrà il tè e non sai se TU sei colui che lo berrà ma scrivi un inno a questa bevanda che ha il colore delle foglie autunnali l’autunno del sangue si apre un varco nel corno da caccia un cervo avanza nel disegno del giorno le tane si aprono come temperini lamponi e foglie inumidiscono i passi . . . . . . 3 ora la strada ti accoglie come una cassetta postale l’abitudine è una camicia lisa sulle tue spalle la strada è qui ai tuoi piedi come un cane fedele l’aria sta sui tetti come uno zerbino tu sei una lettera nella strada cassetta postale il tuo destino è là distributore meccanico esso ti condurrà alla destinazione scritta sulla tua meninge certamente sei tu che cammini sotto le case imgrembiulate come panettiere ma qualcun altro volge l’arco delle tue pupille i rumori ti lambiscono le tempie le arterie la giornalaia ti porge il giornale del mattino oh! il giornale che merletto per la tua malinconia lindbergh ha lanciato un arcobaleno tra l’america e l’europa un professore di strategia assassinato sull’espresso parigi marsiglia il prezzo del pane aumenterà di dieci centesimi ma l’aria sventola una bandiera tra le tue dita la solitudine è dritta come un urlo di sirena i quartieri pulsano si riempiono di umore come ovaie il muso degli astri ti fruga ti spaventa è un continente la donna che ti cammina davanti ed eccoti a casablanca sei senza lavoro le casse rotolano nel porto come monete c’è un odore forte d’olio e di fischi avanzi nell’equazione del sangue nei capelli dell’aria alberature sartiame come le penne di falco di un capo indiano ecco i cereali le balle di cotone come amuleti le stelle abbrividano l’argenteria dell’acqua un’imbarcazione fende la canna delle vene ma non è che la vetrina di una compagnia navale il passo esita come i timpani e tuttavia il sole si fa posto a gomitate un sorriso ti innalza fino all’ottavo piano ogni parola è un dossier un dossier persino il cielo è una macchina da scrivere il sonno si allontana si avvicina come un bosco il silenzio 5 ti fermi dalla verduraia ti sorridono come lucertole i fagiolini la costellazione dei piselli naufraga le parole i semi stanno nel bacello come bravi scolari nei banchi come barche da pesca gli zucchini alzano il muso avanzano imbruniscono le barbabietole come tappezzerie il prezzemolo il finocchio conigli i ravanelli bianchi le melanzane annottano ecco i pomodori come le guance delle ragazze transilvane in scialli di carezze cristalli i passi i cavolfiori come neve tardiva sui boschetti di sussurri e bottiglie di acqua minerale le corte specchi il fiume come ossa lunghe si distinguono le case le parole con proprietà terapeutiche la strada scavata nella piantaggine lattughe ed ecco il volto di cristo flagellato della patata essa conosce i segreti della notte con otri di silenzio la sua radice palpa le viscere della terra bianche levigate come tubi le radici avanzano nei nervi succhiano la saggezza dei tempi le ossa della notte dedichi un inno alla patata voglio avere la tua limpidezza il tuo silenzio frutto della terra simile alla terra dal ventre del buio non dimenticarci rafforza con l’olio della notte la nostra mano tu conosci sotterranei abbecedari ti hanno nutrita dio e le piogge le tue proprietà le ricavi dalla terra come le pecore dall’ovile i cieli ti accolgono in ogni paiolo patata icona dell’umiltà e della pazienza tu ti accontenti di poco e ci dai tutto ed ecco il triangolo del volo nel metallo della sera il cielo pende come la lingua dei cani da un lato patata come le mani aspre del contadino hai la frescura di un tunnel nel pomeriggio tu sei la voce della terra l’occhio degli angeli veglia su te senza tributi tu premi l’orecchio contro al terra lambisci i rumori le viscere tutte hai in te tanti incantesimi come etichette di drogheria tu sei un bicchiere di vitalità mi piace la buccia la polpa che si fa umida quando ti fai posto a spallate per crescere ti aspetto ti ascolto e mentre palpitano battiti di cuore nel tuo nero e nel tuo fango colori celesti raccogli e poi ci dai amido sulla lingua tu ricevi la benedizione del vento le nubi t’innalzano un trono sotto gli spazi e solo il poeta sa che tu sei il cane della terra 19 . . . . . . parigi mi sono comunicato della tua comunione ho incendiato i musei ho lacerato la carne delle statue la domenica si offriva nei sobborghi come una capsula di cocaina nel jardin des plantes ho lucidato il metallo dei nervi ho visto orsi bianchi prendere pezzetti di pane come i pesciolini e ho scritto il principio del poema ulisse dedico un inno a te secolo della mediocrità più non cacciamo l’orso bruno sui monti d’america le nostre braccia non insanguinano più foreste selvagge ci chiudiamo da soli nella muffa degli uffici ma come amo la tristezza l’allegria della città le panettiere grosse come mucchi di fieno e le venditrici di banane come ridono i denti fosforescenti delle insegne sul foglio del silenzio si disegna il timbro del cuore parigi olio santo per la giuntura del pensiero oscilla sulla carta geografica dell’occidente come un transatlantico ti spegni come una seta sulle labbra dell’autunno (traduzione vicino Greta Rosso) |
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